Cos’è l’effetto fotoelettrico?

14 Febbraio, 2023
l'effetto fotoelettrico mostra che la luce è composta da partecelle

Foto di Gerd Altmann da Pixabay 

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Che cos'è l'effetto fotoelettrico?

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L'effetto fotoelettrico spiegato

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Le implicazioni dell'effetto fotoelettrico

L’effetto fotoelettrico è il fenomeno per cui, investendo una superficie metallica con della luce, si staccano da essa degli elettroni. Per intenderci, grazie a questo effetto funzionano i pannelli fotovoltaici

Anche se non ti sembra niente di trascendentale, la spiegazione del perchè questo accada ha tenuto i fisici in dubbio per molto tempo ed è valsa il premio Nobel ad Albert Einstein.

Che cos’è l’effetto fotoelettrico?

Due fisici, Hertz e Lenard, indagavano un fenomeno luminoso particolare: sparavano della luce su una lastra metallica e da essa si staccavano degli elettroni.

L’effetto fu denominato fotoelettrico, ma presentava una bruttissima stranezza, inspiegabile.

Sparando una debolissima luce rossa, la più debole nello spettro della luce visibile, non succedeva un bel niente alla lastra melallica. Aumentando l’intensità della luce rossa la storia non cambiava. Ma non appena si sparava della fioca, impercettibile luce viola (la più potente nello spettro della luce visibile), si staccavano elettroni dalla lastra. E più aumentava l’intensità della luce viola e più elettroni si staccavano.

Parte da qui il mistero dell’effetto fotoelettrico.

l'esperimento originario dell'effetto fotoelettrico

Qual è il problema dell’effetto fotoelettrico?

Mumble

“Davide scusa, ma che c’è di problematico nell’effetto fotoelettrico? La luce viola è più potente di quella rossa e scalza gli elettroni dalla lastra no?

Verissimo, ma non stai considerando una cosa: perchè l’intensità della luce è completamente irrilevante mentre la differenza la fa il colore?

Facciamo un esempio pratico: devi fare strike al bowling con una pallina da tennis. Viste le dimensioni ridotte e la massa molto minore, dovrai compensare lanciandola molto più forte. Diciamo che tu abbia un cannone. Ci metti dentro la pallina e la spari verso i birilli. Sarà talmente veloce che farai strike.

Hertz e Lenard si aspettavano la stessa cosa con l’effetto fotoelettrico. Se anche una minuscola luce viola riesce a scalzare via gli elettroni, allora posso prendere luce meno potente (rossa) e spararla con talmente tanta intensità da ottenere lo stesso effetto.

Eppure potevano sparare luce rossa con tutta l’intensità che volevano, non sarebbe mai successo nulla. Ma appena passavano alla più fioca delle luci viola, fioccavano gli elettroni.

Perchè per ottenere l’effetto fotoelettrico conta il colore e non l’intensità?

L’effetto fotoelettrico spiegato

Einstein rispolvera Planck

Gli strani comportamenti osservati da Hertz e Lenard nell’effetto fotoelettrico restano senza spiegazione per quasi 20 anni. Finchè non arrivò il 1905.

In quell’anno, un ragazzo impiegato all’ufficio brevetti di Berna, scuote tutti pubblicando 4 articoli, tra cui la relatività ristretta e la spiegazione dell’effetto fotoelettrico, cosa che gli varrà il Nobel: Albert Einstein.

Per trovare una spiegazione al fatto che, per staccare gli elettroni da una lastra metallica, contasse solo il colore della luce e non l’intensità, Einstein rispolverò quello in cui si era imbattuto qualche anno prima un tale Planck.

Planck infatti, per risolvere un’altra annosa questione chiamata radiazione del corpo nero, dovette fare un’ipotesi che non capì nemmeno lui: la luce trasmette la sua energia a pacchetti finiti. La cosa interessante è che ognuno di questi pacchetti ha un’energia che dipende dalla frequenza della luce, vale a dire dal suo COLORE.

Einstein prende questa ipotesi ed immagina quindi la luce composta da tanti corpuscoli, tante palline, ciascuna con un’energia finita ben precisa, legata alla frequenza della luce stessa.

l'effetto fotoelettrico si spiega rispolverando Planck

Nascono i fotoni

Einstein chiamò queste palline di energia che compongono la luce FOTONI e con questa intuizione spiega in un colpo l’effetto fotoelettrico.

Mumble

“Davide scusa, ma perchè immaginare la luce composta da palline di energia dovrebbe risolvere la situazione?

Non dimenticare che l’energia delle palline ha un valore finito e ben preciso, né di più, né di meno.

Torniamo al bowling. Hai la tua pallina da tennis e devi fare strike. Ma questa pallina da tennis, per quanto ti sforzi, può viaggiare solo a 5 km/h. Anche se la sparassi con un cannone andrebbe sempre a 5 km/h. Troppo pochi, non fai nemmeno il solletico ai birilli.

E lanciare più palline da tennis, sempre a 5 km/h, non ti servirebbe a nulla. Anche lanciando per ore, se 5 km/h sono troppo pochi per abbattere i birilli, non ci riuscirai mai.

Lo stesso avviene tra i fotoni e gli elettroni della lastra melallica.

I fotoni spiegano l’effetto fotoelettrico!

Perchè l’effetto fotoelettrico si verifichi, la luce deve staccare degli elettroni dalla lastra metallica.

Così come come per buttare giù un birillo serve esattamente una certa energia, anche per staccare un elettrone dalla lastra ne serve un preciso quantitativo.

Se il fotone ha l’energia che serve, allora scalza l’elettrone, altrimenti se ne rimane bene dove sta, sulla lastra.

Einstein sapeva, rispolverando Planck, che le palline da tennis che compongono la luce hanno un energia che dipende unicamente dalla frequenza della luce, vale a dire dal suo colore.

La luce rossa era composta da palline con un’energia troppo bassa per spingere via gli elettroni. Aumentare l’intensità della luce rossa non serve a nulla: semplicemente arriveranno, sugli elettroni della lastra, ancora più palline rosse ma nessuna con l’energia sufficiente per farli saltare via.

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AHA!

Quindi la luce è fatta da singole sferette dotate di una quantità di energia finita, né di più né di meno. Questa energia dipende dal colore della luce, vale a dire dalla sua frequenza.

Le implicazioni dell’effetto fotoelettrico

Planck ipotizza che la luce trasmetta la sua energia in pacchetti piccoli ma comunque con un’energia finita e dipendente dalla frequenza della luce (dal suo colore quindi). Planck stesso però non credeva assolutamente in questa sua ipotesi. Riteneva fosse solo un trucco matematico per far tornare i calcoli.

Eintstein gli dà fiducia e usa la sua ipotesi per spiegare l’effetto fotoelettrico e questo gli valse il premio Nobel.

Mumble

“Non mi sembra una scoperta così grande da ottenere un premio Nobel. Mi sto perdendo qualcosa?”

Come le bellissime serie tv, quando agli ultimi secondi del finale di stagione arriva il colpo di scena che ti fa capire che la storia è tutt’altro che chiusa, lo stesso successe con l’effetto fotoelettrico.

Forse la spiegazione in sé del fenomeno non ti sembrerà assurda, ma porta con se una domanda che turba ancora il sonno di molti.

La luce era sempre stata ritenuta, con tanto di esperimenti che lo provavano, un’onda. Eintstein però spiega l’effetto fotoelettrico immaginandola composta da palline che chiama fotoni.

Mumble

Ma la luce quindi, è un’onda o una particella?

La risposta a questa domanda non è affatto quello che puoi immaginare…

Resta sempre curioso

Davide

BIBLIO

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