Dialogo con la Storia: le Bombe Atomiche su Hiroshima e Nagasaki
08 Agosto, 2020
Bombe_fungo atomico

Image by Jonny Lindner from Pixabay

Sogno di Una Notte di Mezza Estate

La Louisiana mi ha sempre affascinata. Le sue radici così europee, l’esoterismo che permea ogni cosa. Così quell’estate dopo un giro on the road feci tappa a New Orleans.

Per la serata decisi di concedermi uno sfizio puramente turistico e sorseggiare un bicchiere del tipico liquore locale nella via stessa a cui dà il nome: Bourbon street. La mia attenzione venne subito catturata dal suono di un languido riff di blues proveniente da un localino piccolo e buio. L’attrazione fu magnetica.

Bombe_blues

Image by Peter H from Pixabay

Mi sembrò di fare un salto indietro nel tempo di almeno sessant’anni: ai tavoli poche persone e un uomo con un talento immenso cantava sul palco. Ordinai il mio bourbon e mi andai a sedere in disparte, sentendomi quasi fuori luogo. Un uomo distinto mi si avvicinò:

XX: Scusi signorina, permette?

S: Prego (risposi confusa e francamente seccata)

XX: Mi perdoni se la importuno, è solo che lei non sembra appartenere a questo luogo.

S: Mi creda, stavo pensando la stessa cosa…

XX: Comunque molto piacere, io sono Enrico Fermi

Il mio cuore saltò un battito, mi presentai a mia volta e bevvi un sorso che, se non altro, sapevo avrebbe aiutato.

S: Professore mi scusi io non ne avevo idea..

EF: Enrico, la prego. Oltre la cortina di luce nessuno bada più a certi formalismi. Non si deve scusare.

S: Avrei così tante domande.

EF: Spero solo di essere in grado di rispondere.

Ritorno alle Origini

Mumble

Enrico, perchè decise di trasferirsi negli Stati Uniti?

EF: Sonia, fu una fuga…

S: Fuga?

EF: Ma certamente! L’Italia e l’Europa non erano più posti sicuri per chi fosse uno scienziato e si fosse rifiutato di lavorare al servizio del regime. Per non parlare degli scienziati ebrei.

S: Quindi cosa fece?

EF: Iniziai a lavorare alla Columbia insieme a Leo Szilard. Studiavamo il neutrone, appena scoperto. Tutto è partito da un singolo, piccolo neutrone.

S: E…

EF: Pensammo di utilizzarlo come proiettile da sparare contro gli atomi…

S: Profes.. Enrico lei sperimentava la fissione nucleare.

EF: Già. Ci rendemmo conto che sparando un neutrone contro un atomo di uranio, questo si divideva in elementi più piccoli e che la loro formazione era accompagnata da un enorme rilascio di energia.

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Immagine tratta dall’articolo “Energia Nucleare”, Chimica-online.it

S: E controllare questa energia è fondamentale per evitare disastri come quelli di Chernobyl

EF: Chernobyl… Ne ho sentito parlare. Ero già passato da questa parte da molto tempo.. Certo come dice lei la reazione ANDREBBE controllata, a meno che non si voglia costruire una bomba.

La Lettera Decisiva

S: Perchè le bombe Enrico?

EF: Sapevamo che in Germania il governo nazista stava già finanziando un progetto su una bomba nucleare. Non potevamo permetterci ci arrivassero prima di noi.

S: Fu allora che scriveste la lettera al Presidente?

EF: Non scrivemmo. Scrisse. Fu tutta un’idea di quel pazzo visionario di Szilard!! 

S: Cosa fece?

EF: Si fece presentare Alexander Sachs, economista, uomo poliedrico e nella cerchia di consiglieri di Franklin Delano Roosvlet. Gli spiegò la situazione e lo convinse della necessità di raggiungere la Casa Bianca con il suo messaggio. Scrissero insieme una lettera da presentare a Roosvlet, ma loro due, da soli, sapevano che non sarebbero bastati. Ci voleva un pezzo grosso. Un gigante. Un piccolo gigante tedesco con i baffi e i capelli arruffati.

S: Einstein..

EF: Albert acconsentì a partecipare e firmò la lettera. Così Sachs si fece ricevere da Roosvelt. Discussero a lungo, ma andò male. Sachs, però, non si arrese e la mattina seguente si fece ricevere nuovamente da Roosvelt a colazione. Nessuno ha mai saputo veramente cosa si siano detti, ma quel 12 ottobre 1939 Roosvlet acconsentì a scrivere le storia come noi la conosciamo. Era nato il Progetto Manhattan.

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Image by Free-Photos from Pixabay

Il Progetto Manhattan: Nascosti in Piena Vista

S: Ce l’avevate fatta!!

EF: Non proprio. Per anni non producemmo altro che teorie e nulla di pratico, mentre la Germania faceva progressi sui campi di battaglia. Fu proprio però grazie ai successi dei tedeschi che ottenemmo l’autorizzazione per la costruzione di un progetto top secret. E Robert Oppenheimer mi costrinse a fare le valigie per un posto sconosciuto in mezzo al deserto.

S: Quindi cosa successe?

EF: Lavoravamo alacremente, avevamo tanta fretta. Era una corsa contro il tempo, contro Hitler. Incontrammo tanti problemi. Ricordo tanta frustrazione.

S: Che problemi avete incontrato?

EF: L’obiettivo degli scienziati coinvolti nel Manhattan Engeneering Discritct -questo era il nome ufficiale- era quello di costruire una bomba che letteralmente spazzasse via i nazisti. Quello di cui mi feci carico io era di creare un sistema che permettesse alla reazione di autosostenersi per poi esplodere. Costruimmo una pila di dimensioni enormi

S: Una pila?

EF: Diciamo una specie di reattore, un sistema che ottimizzasse l’impatto dei neutroni contro gli atomi. Lavorammo giorno e notte, senza sosta. La struttura fu eretta nel campo da squash dell’università. Ero così teso. Facemmo partire l’esperimento, i valori si allineavano con i miei calcoli, le teorie sembravano avverarsi e poi..

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Illustrazione dell’accensione della pila atomica nel campo da squash dell’Università di Chicago tratta da “La pila atomica”, Galileo2001.it. La riproduzione fotografica dell’evento fu impedita a causa delle radiazioni. 

S: E poi?

EF: E poi è successo. La prima reazione nucleare del mondo autosostenuta. E’ durata 28 minuti. Ce l’avevamo fatta. Festeggiammo, bevemmo chianti. Dovevamo solo sperare che i nazisti non fossero arrivati ad una bomba prima di noi…

Mumble

S: Se questo era risolto quali potevano essere gli altri problemi?

U

AHA!

EF: Trovare la materia prima: Uranio 235. La reazione avviene solo con il 235, ma in natura per la maggior parte è presente il 238. Dovevamo trovare un modo per separarli ed estrarlo.

S: E il 238 non è proprio utilizzabile?

EF: Assolutamente no! Assorbe i neutroni diventando Uranio 239 e non succede proprio niente, non esplode!

S: Quale fu la soluzione?

EF: Non ce ne fu una davvero definitiva. La produzione di uranio 235 fu affidata a più laboratori che sperimentarono vari metodi, non esattamente eleganti, ma ciò che contava era il risultato. Inoltre si adoperarono per la produzione di plutonio.

S: Anche di plutonio?

EF: Capirà a tempo debito perchè ci occorreva produrre anche plutonio.

Il Progetto Y: nel Mezzo del Nulla

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Image by ArtTower from Pixabay 

S: Quindi grazie al suo lavoro avevate il principio di funzionamento e con i laboratori l’uranio 235. Dove assemblavate tutto?

EF: In un posto che non è mai esistito: Los Alamos, New mexico. In mezzo al deserto avevano costruito un insediamento per permetterci di lavorare in estrema segretezza. Lo chiamarono Progetto Y e fu una naturale conseguenza del progetto Manhattan. A capo delle operazioni Robert Oppenheimer. E’ li che abbiamo costruito le bombe.

U

AHA!

S: Quindi prima è arrivato il Progetto Manhattan nel quale erano coinvolti diversi scienziati -come lei- per studiare e dimostrare la teoria  sul nucleare, poi trovati tutti gli elementi con il Progetto Y siete passati alla costruzione vera e propria degli ordigni, giusto? Di che tipo erano?

EF: Precisamente. Erano di due tipi: una all’uranio e una al plutonio, ora capisce perchè ci serviva produrre anche plutonio?

S: E quanto erano diverse?

EF: Completamente!! La bomba all’uranio era una bomba gun-type o a cannone: una massa di uranio veniva sparata contro una seconda massa di uranio, così da raggiungere la massa critica e innescare una reazione che fosse in grado di generare un’esplosione.

S: Massa critica?

EF: Diciamo che si formava una palla di uranio, molto instabile, che quindi esplodeva.

S: Invece quella al plutonio?

EF: Aveva un innesco diverso perchè il plutonio che avevamo era particolarmente impuro. Invece del plutonio 239, per noi ideale, avevamo purtroppo a disposizione solo una forma “sporca” costituita in parte da 239 e in parte da 240. Quest’ultimo in una bomba come quella all’uranio avrebbe iniziato spontaneamente il processo di fissione, causando perdita di materiale e in ultima analisi l’inutilità dell’ordigno. La bomba al plutonio era a implosione.

S: Implosione?

EF: La bomba era costituita da un nocciolo di plutonio circondato da esplosivo convenzionale. L’innesco di queste cariche avrebbe generato un’esplosione che a sua volta avrebbe causato un aumento significativo della pressione intorno al plutonio. Questo materiale sottoposto a una presione di questa portata sarebbe imploso, iniziando la catena di reazioni.

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Immagine tratta da Atomic Heritage Foundation

S: Enrico, sono queste le bombe che sono state usate sul Giappone?

EF: Sì. Little Boy – la bomba a uranio – è stata sganciata su Hiroshima, Fat man – quella al plutonio – su Nagasaki. Fu devastante.

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Image by skeeze from Pixabay

Mentre diceva questo i suoi occhi si velarono di una tristezza profonda, un rimorso che non avrebbe mai trovato consolazione. A rompere il ghiaccio fu una visita inaspettata. Era il cantante che si stava esibendo quando sono entrata.

XX: Enrico, smettila di fare il vecchio trombone, non vedi che la ragazza non ti sopporta più? Falle godere la serata in pace!!

EF: Sarai anche bravo, ma sei sempre il solito impiccione Frank. Sonia ha già conosciuto il signor Sinatra?

A quelle parole il mio cuore accusò il secondo colpo della serata. Allungai goffamente la mano per stringere quella di Frank Sinatra, convinta che avrei perso i sensi da lì a poco. Avrei avuto decisamente bisogno di un altro Bourbon.

EF: Perchè non torni sul palco a cantare?

FS: Lo scusi, gli scienziati sono tanto brillanti, ma mancano di senso dell’umorismo. Con permesso signorina.

E ci lasciò. Seguendolo con sguardo inebetito mentre risaliva sul palco, non potei fare a meno di notare una figura scura, inquietante, che ostinatamente ci fissava.

S: Enrico quell’uomo non smette di guardarci..

EF: Non deve preoccuparsi, è qui per me

S: Chi è?

EF: Il fantasma della mia colpa Sonia. Mi segue da sempre, da quell’agosto del ’45 e non voglio che se ne vada. Certo il nostro lavoro non è mai stato così efficace, intenso e stimolante, ma come ha detto Oppenheimer siamo distruttori di mondi. Ci siamo presi molte vite quel giorno. E nei tanti giorni a seguire dopo quello.

Rimasi ancora a chiacchierare con Enrico qualche minuto, lo ringraziai per il tempo magnifico trascorso insieme e, con riluttanza, me ne andai.

Il giorno dopo tornai sui miei passi, per cercare di nuovo quel locale. Ripercorsi la via più volte, ma non lo trovai più, era come sparito. Era come se fosse stato un meraviglioso sogno di una notte di mezza estate.

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Little Boy a Los Alamos, immagine tratta da World War II – Museum Exhibit By Connie Nuss, Tes.com

Ti ringrazio per avermi permesso di tenerti compagnia, spero di essere stata capace di farti scoprire qualcosa di nuovo, di sorprenderti e soprattutto di rubarti un sorriso.

Alla prossima volta con l’augurio di non smettere mai di farti domande.

Sonia

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